Mi piace la musica, quella rock in particolar modo. Mi piace andare ai concerti e mi piacciono le atmosfere, i colori, ed i personaggi che frequentano quel mondo. Sono affascinato dai suoni, dal Rock'n Roll e da ogni forma di “rumore”. Spesso queste mie inclinazioni non sono condivise dai miei amici ed allora ai concerti ci devo andare da solo. La cosa non mi infastidisce più di tanto, forse perchè mi ci sono abituato da anni. Se un evento mi è piaciuto particolarmente, se mi ha irritato, o se comunque m’ha dato delle sensazioni, ne scrivo ed invio la recensione agli amici via mail. E’ un mio modo di condividere a distanza con chi mi conosce un'esperienza, e ciò al di la dell'effettivo interesse dei destinatari a quanto scritto.
In questa pagina ne ho raccolte alcune, quelle che ho trovato fra la corrispondenza più recente. Di concerti - ovviamente - ne ho visti di più, ma non sempre ho voglia di scriverne. A volte è solo per una questione di pigrizia, altre è che ho proprio il desiderio di mantenere privato il ricordo dell'evento. Altre ancora c'è proprio poco da dire ed è quindi inutile perder tempo a digitare caratteri sulla tastiera.
Spero che apprezzerete queste mie note.
2013-05-25
23/03/1996-25/05/2013: 17 anni sono passati da quando vidi il terzetto (?) californiano. Questa volta debbo fare una premessa di rilievo: per quanto abbia apprezzato tantissimo “Dookie” - cassetta che ho ascoltato fino a consumarne il nastro - dei Green Day non mi sono mai innamorato. Ne ho apprezzato l'energia pop, la carica “scanzonata” dei primi tempi che dal mondo discografico fu etichettata come “nuovo” punk (...). “Basket case” è poi un video strepitoso, forse uno dei migliori realizzati negli ultimi 20 anni. Eppure non mi hanno mai preso nell'intimo. Forse ciò è dipeso anche dall'essere rimasto fortemente deluso dalla loro esibizione del '96 all'Hala Tivoli di Lubiana, in cui mi fu palese l'indole scazzata e festaiola del terzetto, un gruppo di musicisti mediocri che su qualche azzeccato riff e sfruttando la moda del rinato punk avevano costruito un successo da milioni di dischi. All'epoca furono 45 minuti più 10 di bis (ed i bis erano bis veri, non hit lasciate furbescamente per ultime), ed il ritorno verso casa fu con l'amaro in bocca... Quello era, a tutti gli effetti, il tour di Dookie. 2013: i Green Day ci sono ancora, io anche. A inizio anno circola la voce di un concerto in piazza Unità a Trieste. L'entusiasmo non mi assale nonostante la curiosità per lo show fosse alta, soprattutto per le critiche positivissime che ne aveva fatto Doug 2 anni prima (tour di 21st Century Breakdown) che lo definì “uno degli show più divertenti che abbia mai visto”. Non acquisto il biglietto ed attendo la guida del Fato; ed il Fato ha voluto che proprio il 25 maggio fossi a Trieste e privo di impegni rilevanti. Che si fa? Andiamo! proviamo a vedere che è successo in questi 17 anni ai ragazzotti di Berkeley... L'acquisto del ticket lo rimando all'ultimo, ovvero direttamente dai bagarini sottocosto a 20 minuti dall'inizio del concerto (palese che non vi sia stato il sold out). A tal riguardo avrei qualcosa da dire all'Azalea Sound, che alla mia richiesta di confermare la validità di un biglietto - peraltro da loro emesso - hanno avuto il coraggio di chiedermi 5 EU, spacciandolo come diritti di prevendita. Questi si sono fumati completamente il cervello! L'Italia è un paese fortemente anomalo per quanto riguarda i biglietti: a differenza di quanto succede nel resto del mondo, da noi i ticket in prevendita costano di più. Ok, termino qui la polemica che è questione lunga, e torno al concerto. L'atmosfera è molto colorata a confronto con quella di Lubiana: non c'è un dress code ufficiale, l'abigliamento generalmente è molto naturale, tarato sull'età. Ci sono molti giovani, ma anche più d'un brizzolato. Non però la solita gente che frequenta i “miei” concerti. No jeans stracciati, no creste o borchie, no giubbetti di pelle o rocker con la maglietta della band preferita. E' un pubblico eterogeneo, che non mi pare direttamente legato ai Green Day quanto piuttosto all'idea di andare ad un concerto il piazza. Fra la gente si sente forte la presenza di cadenze venete e di idiomi dell'Est: sloveno e croato. E' normale, siamo in città di confine. Pubblico numeroso (il Piccolo riporta 12 mila paganti ed è credibile) ma è sotto le attese; piazza Unità può tenere agevolmente più del doppio. Il palco è montato difatti all'altezza dei Duchi e non a ridosso del comune e le rive sono praticabili. Ok, il tempo non ha agevolato, anzi. E proprio le condizioni meteo hanno fortemente caratterizzato l'evento: temperatura bassissima per la stagione (12°C) e pioggia per quasi tutta la serata hanno reso meno estivo l'happening. 21:08 s'accendono delle luci azzurre, poi altre chiare e compare sul palco un coniglio rosa e bianco che incita il pubblico a danzare sulle note di un brano dei Ramones. Niente gruppo spalla quindi, ma solo questa simpatica quanto efficacie trovata. Qualche minuto e partono le note della colonna sonora di “Il buono, il brutto ed il cattivo” - idea ereditata dell'ormai estinta band newyorkese dei 4 fratelli Ramone. Ingresso in grande stile con tutto il palco illuminato, e poi dentro lo show!... 21:40 sono fermo, mi guardo in giro, non c'è nessuno che poga, neanche sotto al palco. “Utta sono già stufo di questo “Are you ready..???!” ripetuto già fino alla nausea e degli “ahoooo ahoooo!” dei ping-pong col pubblico fatti su un vocalizzo del cazzo. Il concerto non decolla, è lento, è lento nei ritmi delle canzoni (forse è stata fatta anche qualche ballad nella prima ora) ed è lento del susseguirsi dei brani. C'è stacco tra uno e l'altro. Così non va: dai Green Day ci si aspetta velocità e “casino”, ci si attende di non riuscire a tenere il culo fermo, ci sia attende un pogo - anche solo accennato - di almeno 6000 persone, ed invece niente. I brani sono quelli dell'ultimo periodo, quasi tutti noti ma nessuno realmente sentito. Alle 22:30 sto già pensando a come la prima impressione del '96, in fondo, è stata confermata, solo che ora ci sono una 15 di dischi di platino di mezzo, una mezza dozzina di Grammy, 80 milioni di dischi venduti, soldi a palate per la produzione... La sostanza quella però è. Non posso tacere che è il più numeroso terzetto rock (*) che abbia mai visto: sul palco infatti c'erano 6 persone, forse neppure tutti utili. Per onestà vi dico che nell'ultima mezz'ora la situazione era un po' cambiata, sia per l'esecuzione di brani più vecchi (periodo Dookie appunto) che per un miglior impatto complessivo loro; il concerto pareva iniziasse a funzionare. Possiamo considerare che abbiano fatto da spalla a se stessi e che la prima ora fosse solo di riscaldamento? Mah, no. Gli “ahooo ohhoooo...” sono continuati anche dopo, per fortuna con minor frequenza. E non si può pensare che un paio di trovate coreografiche - un fucile spara carta igienica ed un bazooka che lancia magliette - possano sopperire a certe lacune. Bis di rito da 15 minuti che ha ulteriormente deluso perché ha chiuso in calando e non in crescendo. Ed era proprio durante il bis, che a tutti gli effetti dovrebbe essere il momento clou dello spettacolo, che ho levato gli occhi al cielo, guardando le scure nubi che ancora piangevano, ed ho visto un cocal. Volava lentissimo, sembrava quasi un'immagine al rallentatore; l'ho intercettato sopra il comune e stava volando in direzione della capitaneria di porto. E' passato forse 10 metri sopra al palco, in mezzo a raggi di luce colorata; sotto di lui 100 mila watt di “punk rock” e gente urlante. Non s'è scomposto minimamente e con una flemma da lord inglese o da asceta tibetano ha continuato il suo apatico battito d'ali, come se non stesse succedendo nulla. Che avesse ragione il cocal e non è veramente successo nulla? Questioni tecniche: palco enorme, adatto a platee di 50 mila, alto più di 20 metri. Line array da 18 elementi per parte (non ho visto la marca). Audio decoroso, equilibrato ma senza “la botta”, forse per limiti di legge. Considerazione conclusiva: quando una band ha 20 anni di storia alle spalle non può più pensare di fare tour promozionali ai dischi ma deve entrare nell'ottica di dare al pubblico quello che il pubblico vuole. Se 'sti 3 minchioni (o chi per loro) avessero fatto una scaletta diversa il concerto avrebbe potuto essere una gran figata: bastava iniziare con 6/8 brani famosissimi (le hit insomma) ed avrebbero conquistato tutti. Dopodiché avrebbero potuto suonare anche il loro “concept album” per intero e due volte di seguito che la gente sarebbe stata già appagata. Bastava un'ora di hit (e ce le hanno) ed avrebbero fatto bingo. Voto complessivo: primi 80 minuti di concerto 4, ulteriori 40 minuti 6, location 9, impianto scenico 6 (ma non potevano fare di meno vista la fama). Il voto è tarato sulle attese e sulle possibilità.
Saluti, Ciube.
p.s. Terminato la recensione sono andato a leggere in rete altri commenti; ho trovato quest'altro scritto, decisamente allineato a quanto da me riportato: (link)
2010-07-16
Era la metà degli anni '80 e da giovane rocker mi documentavo ed informavo delle nuove uscite discografiche leggendo le riviste musicali e di settore. Abbastanza spesso comparivano articoli di “Storia del Rock” o del Metal e tra i nomi che più spesso venivano citati, indipendentemente che si trattasse di heavy, garage, metal o punk, c'erano quelli di MC5, Stooges e Blue Cheer. A loro, i contestatori della fine anni '60, veniva fatto risalire tutto il rock più abrasivo, irriverente e violento. Immancabili poi gli articoli sui vari miti, tra cui Iggy Pop, “L'iguana del rock”. Complice una carriera solista per nulla disprezzabile, anche se non più così estrema come agli esordi, Iggy era una figura presente ed attuale. Sono passati gli anni, una ventina, ed un lustro fa si è risentito parlare di Stooges. Come non esser scettici e pensare ad una bieca operazione commerciale? Di reunion-marchetta se ne sono viste parecchie in questi anni; cito i Cult, forse il caso più eclatante – in negativo – a riguardo, ma ci potrei mettere anche Velvet Undergroud ed altri ancora. Poi si leggono commenti positivi sugli show e già ci si rasserena, ma la diffidenza resta. Fin quando, questa primavera, non compare l'annuncio: Iggy & The Stooges in concerto in Italia. Qui la ragione cede il passo al cuore e prima che si possa anche solo pensare al da farsi si ha già il biglietto in tasca e poi sarà quel che sarà. Iggy m'è passato vicino, diciamo così, già anni fa, a Lubiana nel '93 col tour “American Caesar”. All'epoca, sempre per quella sorta di diffidenza dei giovani nei confronti dei “vecchi bacucchi del rock” l'avevo scartato come possibile concerto da vedere. Il tempo è galantuomo e nel 2010 siamo vecchi tutti e due, sia Iggy che io e quindi perché non andare? Dopotutto ho già avuto modo di constatare che il rock non è suonato solo da under 30. Da Rimini un promoter organizza addirittura un bus per la data di Azzano X, l'unica in Italia; allettante la proposta, più che per il prezzo (certe cose non si possono misurare col vil denaro) per la promessa di FREE DRINKS a bordo. Sono le 13:30 del 16 luglio e si parte! L'Italia è nella morsa del caldo e dell'afa, i termometri indicano quasi 40°C . Prima di Forlì ho già stappato un paio di birre. Sul bus si fanno conoscenze, si socializza, ci si idrata con la Moretti, si ascolta buona musica... Durante il viaggio combino i biglietti per il Sig. Sobetti, Giuly ed Ennio. 18:00 siamo ad Azzano. Di gente ce n'è ancora poca; si fa presto a rifocillarsi con una bella birra fresca di spina. Si guarda un po' fra i banchetti della fiera del disco e si mangia un boccone (spezzettino di cinghiale con la polenta, squisito!). Si conoscono altre persone e via ancora di birrette. Inizia a calare la sera, e sul palco salgono i Gang Of Four. Vado a dare i biglietti a Giuly e rientro in zona mixer per vedere questi “supporter di lusso”. Francamente non mi dicono molto, mi scivolano via. Poi, poco prima della fine, vedo una scena che mi lascia perplesso: il cantante (sessantenne) che getta la chitarra a terra, e lo fa nettamente controvoglia. Gli dispiace quasi buttare il suo strumento perché chissà da quanti anni è con lui, ma deve mantenere una condotta da ribelle nonostante non abbia nulla a cui ribellarsi. Tristezza. E' scuro, c'è il cambio palco ed io propongo a Sobe di avvicinarci. Mi tolgo la T-shirt, la butto sui tralicci della torre mixer e via! In pochi minuti, e con maestria professionale conduco me medesimo ed il Sig. Sobetti in terza fila, dove troviamo gli altri del bus riminese (compreso l'autista che ci riporterà - forse - a casa). Siamo tutti ignudi, sudati, compressi da altri corpi. La tensione cresce, e per intanto siamo allietati dal Live at Apollo Theater di James Brown. 22:45 spaccate, salgono sul palco i 4 membri della band: Scott Asheton, Steve Mackay, James Williamson e Mike Watt, quest'ultimo con le stampelle, accompagnato da un roadie. Guardo Sobe, lui guarda me, non sappiamo cosa dire ne facciamo commenti. Probabilmente pensiamo la stessa cosa: siamo venuti a vedere dei VECCHI decrepiti. Neanche il tempo di finire il pensiero che si palesa Iggy. Ogni idea negativa viene spazzato via all'istante nel vedere l' ENERGIA fatta persona: la famosa belva da palcoscenico è li davanti a noi e sta ruggendo! La folla si scatena in un pogo veloce, quasi a voler seguire le battute della musica, ma è impossibile. 30 secondi e siamo completamente in acqua. I corpi umidi si mescolano, si contorcono e si intersecano, il sudore schizza da uno all'altro, si salta, ci si dimena, ci spingiamo ancora più sotto al palco. Se si allungasse la mano quasi si riuscirebbe a toccare l'Iguana. Musica a mille, velocissima, aggressiva, caustica, allucinata, il sax che guaisce, l'Iguana che ruggisce sempre più forte. Il fisico di Iggy è quello di un culturista eroinomane mummificato, un fascio di nervi ricoperti da cicatrici, ma è anche l'immagine dell'immortalità dell'anima. Ci sono quei personaggi che non cambiano, che hanno il volto ed il corpo segnato dagli anni e dagli abusi, ma quando li guardi vedi altro, vedi gli abusi e non il tempo che li ha consentiti. Vedi quello che c'è dietro. Ah si, io sto dicendo del concerto: ma che aggiungere? E' stato suonato il repertorio completo, i primi 3 dischi. Non vi faccio la scaletta perché di quegli LP anche lo sfrigolio a fine vinile è diventato leggenda. Il pubblico, tutto di appassionatissimi, almeno nella nostra posizione, ha gradito i classici No Fun, Raw Power e I Wanna Be Your Dog su tutti. 4 mila persone presenti, almeno. 3 mila urlanti e cariche di adrenalina. Dopo 7 brani abbiamo dovuto fare qualche passo indietro, fiaccati dal caldo. Considerazione: i polpastrelli erano rattrappiti come dopo 3 ore di immersione continua in acqua, ed eravamo appena a metà concerto. Iggy no, lui ha continuato a saltare sul palco, a nutrirsi dell'energia del pubblico ed a darne a sua volta, senza risparmiarsi minimamente. Sguardi intensi, espressione truce, gli occhi azzurrissimi brillavano di antico rancore verso qualcosa o qualcuno. Saltava in tondo, sul palco, come fa un leone in gabbia: la sua gabbia è il palco e non chiede altri spazi. Cito una frase a lui attribuita, sentita stamane per radio: “Ritrovarsi uomo di mezza età e rendersi conto di non saper far altro che stare un un palcoscenico”. “Sobe, ma ci pensi che quello ha l'età di tuo padre?” Dorso nudo e pantaloni neri, calati sui fianchi, si concede pose provocatorie ed arroganti, si bagna con acqua, istiga il pubblico, fa salire persone sul palco, e per finire – dopo il bis – a band già ritirata, l'ultimo atto: lui solo, con sguardo di sfida verso la platea in adorazione, si slaccia la cinta e fa saltare il primo bottone. Sono tutti in attesa: “lo farà ancora una volta?” Ma lui è Iggy, e lo fa non perché il pubblico lo vuole ma perché è lui che lo vuole. Non ha bisogno di nulla per dimostrare chi è, neanche di ripetersi. Si sfila la cinta e la picchia ripetutamente al suolo, con un gesto a me molto familiare. Poi se la passa due volte intorno al collo, quasi fosse un collare. Il suo collare che lui e solo lui conduce. Saluta ed esce con passo ondeggiante. Ancora una volta si è consumato uno dei grandi show del ROCK, e c'eravamo.
Saluti, Ciube.
2010-06-04
Era da un bel po' che sul calendario avevo cerchiato la data del 4 giugno: motivo? Garcia plays Kyuss. Molte delle persone a cui l'ho detto hanno fatto la faccia indifferente: evidentemente non sanno di che si tratta. Il buon Ferraglia invece, appena avuta la notizia alle 8:15 di mattina, ha prontamente risposto: “Quando si parte?” Questa è una sorta di premessa per dire che o si sa chi siano i Kyuss o si può anche saltare lo scritto che segue. I Kyuss sono stati (e sono) una band di culto; massimi esponenti (inventori?) dello stoner rock in attività nella prima metà degli anno '90. La band si sciolse ufficialmente nel '97, ma in suo seme si sparse in molte formazioni. Cito: Queens of The stone Age, Fu Manchu, Eagles of Death Metal, Hermano, Unida ed altre. Insomma, una band che ha pesantemente segnato un certo settore del rock per 3 lustri almeno. Ma veniamo al reportage. Location: Estragon di Bologna, locale che ultimamente tante soddisfazioni mi sta dando. Pubblico: affluenza copiosa, al di la delle aspettative, direi 2/3 della capienza massima, stimo circa 2500 persone. La fila per entrare è ancora lunga alle 22:00; solo una volta dentro, Ferraglia ed io, scopriamo che non c'è un gruppo spalla. Ci si fa subito una birretta per entrare in sintonia con l'ambiente. Il palco è già pronto e di materiale ce n'è parecchio per essere una formazione a 4 (chitarra, basso, batteria e voce). Si visita il banchetto dei gadgets: ci sono magliette (X ed XL finite), felpe, qualche vinile dei Kyuss e poco altro ancora. Il logo di “Garcia plays Kyuss” è un cactus in fiore su sfondo nero. Dietro al palco c'è lo stesso logo, semplice e di immediato richiamo al deserto californiano. 22:30 salgono sul palco i musicisti senza Garcia ed iniziano con un brano strumentale; al secondo pezzo fa capolino John, che con passo fiero raggiunge l'asta microfonica. Dalla folla si alza un boato, un misto tra il liberatorio e l'incredulo. Le braccia si tendono a cielo, i corpi ondeggiano, si scuotono. Quasi non ci si può credere, e come me in molti, di risentire i Kyuss dalla voce di Garcia. Forte, fortissima emozione. Lui molto tranquillo, misurato, addirittura arrogante nella postura, canta e non si risparmia, l'intonazione è giusta, la grinta c'è. La band gli sta dietro e, francamente, è difficile notare enormi differenze con gli originali. [A tutti gli effetti questa può essere considerata una sorta di cover band...] Il pubblico è molto partecipe, canta per intero tutte le canzoni; Garcia lo nota subito e punta ripetutamente in microfono sulla folla. I brano si susseguono, allungandosi sempre più. Vengono suonati i classici, che poi visto la produzione non illimitata, quelli dei Kyuss sono tutti classici. C'è chi poga sotto al palco, chi scuote la testa assecondando i ritmi lenti, chi danza sul posto. Ci muoviamo dalla desta del palco al cento e poi alla sinistra. Da metà concerto John ha qualcosa di stano, è meno fermo sul corpo ed il portamento è meno ritto. Noto che al microfono si mangia le parole, biascica un po'. Di sicuro non è come quando ha iniziato il concerto, e s'insinua il sospetto che durante una delle micropause abbia assunto qualche strana sostanza, cosa che il genere musicale in qualche modo prevede. I brani si dilatano, assumendo connotazione di cavalcate lisergiche, sempre grevi, potenti e allucinate. E' impossibile che non tornino alla mente le immagini dei video o delle copertine dei dischi che ritraggono la band nel deserto californiano, ed il cactus raffigurato alle spalle ne è sintetica rappresentazione. Il caldo del deserto, la polvere, la rudezza, la desolazione sono tutti aspetti che questa musica richiama e dipinge nella mente, un pennello sonoro che fa vedere posti lontani, immaginati e fantasticati. Il concerto si avvia al termine, col canonico bis. La scelta della scaletta, almeno quella della seconda parte, non mi entusiasma particolarmente: mi attendevo un finale in crescendo ed invece è a scemare. Peccato. Con Ferraglia ci facciamo un ultimo drinkino ed una passeggiata al luna park allestito davanti al Parco Nord, commentando poco l'esibizione. Non so, da una parte c'è l'emozione di aver risentito l'inconfondibile voce di Garcia, roba da pelle d'oca su alcuni brani, dall'altra una sorta di insoddisfazione non focalizzata. Insomma ci è mancato qualcosa ma non sappiamo cosa. Che altri dettagli dare? Beh, per la prima volta ho sentito l'impianto dell'Estragon andare in crisi sui bassi (e si che hanno roba Martin mica da poco); questo dovrebbe rendere l'idea dell'impatto sonoro... Band così composta: John Garcia (voce), Bruno Fevery (chitarra), Jacques de Haard (basso), Rob Snijders (batteria); sui dépliant c'era scritto che ci sarebbe stato Brant Bjork come special guest, io non l'ho visto. Durata: un'ora e mezza.
Saluti, Ciube.
2009-11-22
Il mio primo contatto con i Karma To Burn ha una data precisa: 02/07/2009. Ad inizio luglio un amico mi chiese se volessi andare a vedere un concerto di un gruppo “duro”, i KTB appunto. Mi bastò scovare il loro sito su Myspace ed ascoltare due brani: fu subito attrazione. Il suono proposto era greve, pesante, potente ma tradizionale allo stesso tempo. Insomma, band da vedere almeno per curiosità. La preparazione fu molto modesta non avendo del loro materiale da ascoltare ad di fuori di quanto disponibile liberamente in rete. Il giorno dopo ero all’Hana Bi a Marina di Ravenna in uno stabilimento balneare che sovente propone buona musica a gratis. Location anomala quindi, praticamente un concerto in spiaggia fra ombrelloni e sdraio, o quasi. Vista la vocazione turistica della zona, il concerto ebbe inizio presto (21:30). La formazione dei KTB è quanto di più minimale si possa immaginare nel rock classico: chitarra, basso e batteria. No voce. Il concerto fu di grande impatto nella prima mezz’ora, meno carico di tensione nei successivi minuti, almeno così sembrò a me probabilmente a causa della citata impreparazione. Ci furono anche dei problemini tecnici ma la prestazione fu decisamente molto convincete, tanto da spingermi a cercare discografia ed informazioni sulla band. Scoprì che il gruppo era già alla fase di reunion, essendosi sciolti nel 2002 dopo 5 ani di attività. Attività che evidentemente m’era totalmente sfuggita. E siamo a novembre 2009. Il notevole successo delle esibizioni estive (che sono state forse solo una prova generale) ha spinto band e casa discografica ad organizzare un tour vero tra U.S. ed Europa. Bene, i KTB sono nuovamente in zona ed questa volta conto di arrivare al concerto preparato. “Wild Wonderful Purgatory” e “Almost Heathen” suonano già da mesi nel mio Walkman e dall’autoradio. Per chi non avesse mai avuto modo di sentirli (parecchi immagino) vi dico solo che sono due capolavori assoluti, due dischi da considerarsi come il Bignami dello stoner rock. Al Bronson di Ravenna siamo in relativamente pochi, forse un centinaio di persone. L’apertura del concerto è ad opera di una decorosissima formazione locale, sempre stoner. Io mi guardo un po’ in giro, controllo il merchandising, compro qualcosa, saluto Will e Rich e mi faccio fare gli autografi. Sono socievoli e molto disponibili. Chiedo info su Bob (Oswald) alla signorina che si occupa del banchetto (un bel pezzo); alza le spalle e risponde con marcato accento americano che non ha la minima idea di dove sia. Esco a riporre gli acquisti in macchina ed incrocio Bob con un quanto mai inconsueto copricapo, almeno per queste latitudini: un alto colbacco nero. E’ in maniche corte e sta rientrando, nient’affatto preoccupato del ritardo, da un’osteria li nei paraggi. Senza farla tanto lunga, alle 23:20 salgono sul palco i nostri. Il look è sobrio, minimale, così come la scenografia. Cappellino da baseball per i due al manico e dorso nudo per Rob (senza colbacco). L’inizio è all’insegna della compattezza, del groove pesante, massiccio. Non posso non citare, per chi sa, la famosa “combustione” di kyussiana memoria. Rich ha una maglietta dei Motörhead ed è la massima concessione all’estetica di tutto lo show. Il pubblico apprezza il sound, si è però in troppo pochi per accennare a danze o vicendevoli urti. Qualche chioma si scuote, qualche braccio si leva, ma la sensazione principale che ho riscontrato osservando gli altri spettatori è quella di estasi. Evidentemente chi è qui non ci è per caso. Chitarra e basso sono un tutt’uno, gli attacchi hanno una dinamica strabiliante ed una botta “da paura”. Il tutto è potentissimo e viene suonato ad un volume elevato, senza arrivare al livello del molesto. Pochi effetti e molta sostanza. Bob picchia ed è una macchina, una divinità a 8 mani che colpisce pelli e piatti veloce e potente. Lo osservo qualche attimo e mi pare di vedere che con le braccia prende addirittura la rincorsa per percuotere ancora più forte i dischi d’ottone. Schizza sudore ovunque. Will ondeggia su e giù il capo quasi fosse un metronomo; Rich mantiene per tutto il tempo una posizione “punk”, a gambe massimamente divaricate, col basso ritto. Guardo le dita che scorrono sulle corde, miro il pizzico e poi la corda che vibra lenta. Mi sembra quasi di poterle contare le oscillazioni... E’ musica ipnotica questa. I brani si susseguono, a volte annunciati a volte no. Il pubblico le riconosce dalle prime note ed esprime apprezzamento con ritmati movimenti del corpo. Niente fronzoli, sul palco si suona solamente. Nessuna concessione a pose, ad ammiccamenti, a “il pubblico di destra gridi ‘hey’ quando alzo il braccio destro” e cose così, solo una colata di musica-lava incandescente. Detesto le recensioni in cui viene usata sempre la stessa terminologia, ma come non descrivere come “incandescente” questa musica? Massiccia, granitica, desertica, energia pura: tutte parole e definizioni che sembrano fatte apposta per descrivere i KTB e quello che producono. Consueti bis, con ottima scelta dei “numeri” da suonare per ultimi e saluti. I KTB scendono dal palco e si ritirano nel backstage. Null’altro da aggiungere; concerto di musica e non show. Unico rammarico non essere stato al Channel Zero 4 giorni prima per vedere se in 150 mq. sarebbe stato diverso.
Saluti, Ciube.
p.s. Vi segnali questa bella recensione al concerto estivo: (link)
2009-10-23
Due anni fa al Velvet furono una delusione, e grande. Li bollai come anacronistici, fuori dal tempo e “finiti”. L’anno dopo (2008) uscì il nuovo disco, The Lucky Ones, che è tutto sommato un buon lavoro, più ritmato e veloce di Since We've Become Translucent e Under a Billion Suns senza però raggiungere gli apici del tempo che fu. A luglio di quest'anno è circolata la notizia di un loro nuovo tour con probabile data italiana. Che fare? Dar loro fiducia o considerarli definitivamente morti? La riflessione è lecita, ma la risposta è scontata: i Mudhoney hanno scritto suonato le pagine più graffiati ed abrasive della musica degli ultimi 20 anni. Loro hanno fatto “Superfuzz Bigmuff” e tanto basta per andarli a vedere per sempre. Senza voler essere blasfemo, parafraserei la celebrazione eucaristica “Dì soltanto una parola e io sarò salvato" con “Suonatemi soltanto «Touch Me I'm Sick» ed io sarò dannato”. La preparazione pre-concerto in questo caso non è necessaria, il repertorio è oramai cosa acquisita e mi ripasso solo un po’ l’ultimo lavoro. La data di Bologna è quasi a fine tour europeo; nei giorni precedenti si sono esibiti a Vienna, Praga, Lubiana, Berlino, Amsterdam, e nei commenti e recensioni in rete tutti ne dicono bene. Mi carico parecchio senza che ce ne sia un motivo preciso. E' come se percepissi positività nell’aria, ma forse è solo la speranza di ritrovarli tonici ed in salute. La sera del concerto giungo a Bologna “lungo” e mi perdo il gruppo spalla. Pazienza. Sono le 23:00, le luci si abbassano, poco fumo striscia sul palco ed i 4 Cavalieri del gruge (mi piace tanto questa definizione) fanno capolino, illuminati da dietro con fari azzurrini. Io ci sono e li aspetto al varco, questa volta me lo devono dimostrare che sono i Mudhoney! e... GO! L’inizio è con brani recenti ma la cosa che mi fa sperare bene è Arm: ha le pupille dilatate all’inverosimile, si muove sul palco in maniera completamente sconnessa e scoordinata in un equilibrio impossibile. Occhi pallati e messa a fuoco all’infinito indicano che le droghe stanno possedendo il suo corpo e la sua mente. E’ palese che non sappia dove si trova, eppure c’è. L’atmosfera è adrenalinica, il pubblico è partecipe e parte subito il pogo sotto al palco. Butto giacca e camicia ed in un batter d’occhio conquisto le prime file, lanciandomi nella bolgia infernale. I brani si susseguono con alti e bassi nel ritmo (nelle canzoni più lente ovviamente la gente prende fiato) ma la tensione ed il coinvolgimento sono sempre elevatissimi. Arm non si risparmia, canta di forza, si vedono le vene del collo che gli s’ingrossano e diventano come tubi della benzina. Peters ha un discutibile capellino, Maddison è un po’ imbolsito ma tutti fanno il loro, e lo fanno come la loro fama impone. Steve Turner è in formissima, è lucido e tiene tutto sotto controllo; Mark torna un po’ in qua dopo la prima mezz’ora, ma le pupille restano comunque come due palle da biliardo. I classici si intercalano con qualcosa di più recente e fila tutto alla grande; d’improvviso parte “Touch Me I'm Sick” e quella che prima era una centrifuga a 800 giri passa di botto a 2000. Il pubblico è come impazzito ed accelera il pogo, i salti, le urla. Tutta l’energia si libera all’unisono. Devastante! Come restare fermi sentendo l'incipit della successiva: "Mommy, mommy, mommy, Look at your son"?! Un’ora vola ed arriva la breve pausa prima dei bis. Ritornano sul palco e vedo un’occhiata d’intesa tra Steve e Mark (stranamente lucido in questo frangente), è uno sguardo di compiacimento ed allo stesso tempo un incitamento: “diamoci ancora dentro”. Così fanno, esibendosi con sincero impegno e - direi - quasi per piacere personale. Insomma, posso cancellare dalla memoria lo show del 2007 ed annunciare al mondo: “I Mudhoney ci sono ancora!”.
Saluti, Ciube.
p.s. A fine concerto, dopo un paio di birrette, tiro fuori il pennarello e mi dico: “questa volta ho visto i veri Mudhoney”. Entro nel backstage e mi fermo davanti al loro camerino, si apre la porta ed intravedo Turner. Ci guardiamo ed è come se ci riconoscessimo a vicenda; non dico nulla e lui con un cenno m’invita ad entrare. Saluto, mi complimento per lo spettacolo e mi faccio firmare il biglietto. Poi passo a Maddison e gli dico che c’ero a Milano nel ’94. Dan mi corregge e dice che era il '95. Arm, che mi immaginavo devastato dagli allucinogeni, sta digitando molto velocemente sul suo notebook (risponde alla posta). Steve, richiama la sua attenzione e gli dice “Hey Mark, lui ci ha visti a Milano nel ‘94”. Mark si volta con aria frastornata (e le pupille sempre dilatatissime), sorride quasi a dire “vedi che ci siamo ancora?”. Ho avuto come l’impressione che anche per loro il concerto di Milano sia un ricordo importante, non saprei dire perchè.
2009-03-14
Era già da un po' di tempo che i miei "informatori" sugli eventi musicali della zona adriatica mi avevano allertato, con eccitazione, per l'arrivo dei Neptune. Non essendo nome di grido avevo dato poca importanza alla notizia, ma al sopraggiungere dell'evento (14/03/2009) mi sono sentito in dovere morale di prepararmi; mi sono così fatto prestare l'ultimo lavoro e qualche altra traccia del repertorio più datato. Ho ascoltato per due sere di seguito senza restare per nulla impressionato dalla proposta musicale; anzi, confesso che la prima sera, arrivato ad una delle ultime tracce ho seriamente pensato che mi si fosse guastato il lettore CD poiché continuavano a sentirsi strani rumori, scopertisi poi non meccanici ma registrato sul supporto. Da Myspace e da un paio di mailing list hanno continuato ad arrivarmi messaggi di invito che esaltavano le performance del trio; grande risalto all'evento da parte dei media insomma, con addirittura trafiletto e foto in prima pagina su Music Club! C'è da crede che ci sia del buono.... e poi nella nota di presentazione del complesso è sempre riportata la frase "from Massachusetts..." e come non associare e far riaffiorare dalle memoria le parole "from Los Angeles, California" che introducevano un celebre disco live dei The Doors? Niente, è fatta, si va. Alle 22:30 sono al centro sociale Grotta Rossa di Rimini. 6 EU di ticket sono molto da centro sociale. All'interno ancora nessuno o quasi; tutto è pronto per i supporters, un gruppo italiano che non conosco. Mi viene fame, tanta fame; al bar non hanno nulla, niente piadine (eresia!), niente toast, solo dei maccheroncini vegani del giorno prima. Mi informo sulla pizzeria più vicina e me ne vado. Rientro alle 23:20 ed il gruppo spalla ha terminato. Bevo una, due birre e salgono sul palco i Neptune. I fari illuminano con luce chiara la scena e si può ammirare la strumentazione, tutta autocostruita e fatta con pezzi di riciclo, praticamente oggetti - chitarra, basso e batteria - che assomigliano a sculture mutoidi. Sono seguiti 45 minuti di rumori strazianti e lancinanti, di frasi distorte con marchingegni elettronici, dette e ridette in loop, momenti di "rilassamento" sonoro seguiti da repentine esplosioni. Chitarre in ferro usate come batteria, la ringhiera del palco usata come piatto, rumori (invero abbastanza semplici, tipo sinusoidi) generati con "magiche" scatolette con un singolo reostato... Osservo ed ascolto perplesso, non tanto per il rumore, che lo sapete bene a me piace, quanto per la totale assenza di un messaggio, di un ordine, di un fine. E' casino fine a se stesso. Neppure i musicisti mi sembrano nulla di particolare, tecnicamente parlando. Ripenso ai tempi in cui Alex mi faceva ascoltare le nefandezze dei Melvins e mi rendo conto che era un altro pianeta. Buzzo e company avevano scomposto il suono, facevano musica si con i rumori, con le pause, dilatando i tempi, ma il tutto aveva un suo perchè. E mi vengono in mente le sperimentazioni di Ribot col suo pump organ, o le cavalcate oniriche generate percuotendo una lamiera ondulata. La Factory di N.Y.C. queste cose le aveva create e sperimentate 15/20 anni fa; che senso ha riproporle ora e per di più privandole del lato artistico? Tanto per rendere l'idea, uno dei suoni più "armonici" dell'esibizione è stato lo STOCK dell'inserzione del jack della chitarra nell'amplificatore... Inevitabile che il pensiero non cerchi il conforto del Grande Frank (Zappa): "l'arte di per se non esiste, esiste la cornice all'arte". Se fate dei gargarismi con del succo di frutta state facendo una cosa per molti riprovevole; se prima di iniziare a farlo dichiarate: "sto per eseguire un brano intitolato 'Orribile fine di un succo di frutta', allora diventerete degli artisti". Questi 3 fenomeni non mi hanno dato l'impressione di aver fatto chissà che percorso sonoro per giungere a questo risultato; il loro unico merito è forse quello di essere "from Massachusetts". A rileggere bene cosa c'è scritto su Music Club un sospetto si poteva insinuare: "Il punto focale del suono della band risiede in strumenti autocostruiti ..[omissis]. Indecifrabili." E' come se si dicesse che il punto di forza di Camilleri è la marca della penna con cui scrive. Bah.
Saluti, Ciube.
p.s. la pizza era buona.
p.p.s. a fine concerto si è passati alla Psychedelic Vampire Night, set curato da una DJ locale molto interessante...
2008-10-25
Siamo alle solite: ancora una volta sono stato testimone di un evento sonoro che va al di là di quello che, nel comune uso, si intende per "Musica". Location: Officina 49 (club privato di Cesena) ; data: martedì 22/10/2008; artista: Talibam! genere: ..... viene definito avant rock/free jazz, ma non mi sento di inquadrarlo. Rientra sicuramente nel rock. Sommariamente: posto bello, accogliente, stile retrò ma con gusto. Pubblico interessato e curioso. Numericamente esiguo. Impressioni: i Talimab! from NYC si sono proposti nella classica configurazione di duo: testiera e batteria. A dispetto del ridottissimo organico, il minimo per una band, la quantità di suono prodotta è stata notevole. Già dai primi due brani, se di brani si può parlare, si sono delineati i canoni della loro proposta sonora. Come ho avuto modo di dire qualche giorno prima della loro esibizione, il genere presentato può essere catalogato come: "batteria buttata giù per le scale". Batteria alla massima velocità, suonata con estro e potenza. Impatto scenico ridotto al minimo ma allo stesso tempo volutamente estroso (occhiali da sole alla Lenny Krawiz per il batterista e soprabito in sacchetto della Coop per l'altro). Tastiera impostata a ritmi propri e talvolta chiamata ad inseguire la batteria; altre volte in "duetto" fuori tempo, altre volte ancora a guidare la progressione. Ecco, la progressione e l'aumento di velocità, fino ai limiti umanamente raggiungibili, sono la peculiarità che maggiormente mi ha colpito e quella che il giorno dopo, descrivendo lo show ad amici e colleghi, mi fa fatto definire il loro modo di suonare "incontinenza sonora". Non è, naturalmente, una velocità tesa allo stupire lo spettatore o - peggio - usata per magnificare la tecnica o per autocelebrarsi, ma è una velocità espressione dell'impossibilità di rallentare. Che sia una metafora dei giorni nostri? Dopo qualche brano, nel mezzo di tutto il casino che c'era nella sala, ho percepito sonorità urbane, come di traffico congestionato, di clacson, di gente che si muove veloce, di frenesia generalizzata. Una sorta di fotografia-impressionista della grande metropoli fatta in musica. Approccio espressivo sicuramente istintivo; la mia sensazione è stata che buona parte dei suoni fosse inventata e tessuta sul momento seguendo solo una sorta di canovaccio di base. Non un concerto per tutti, non un evento epocale, non il noise alla Sonic Youth (e non voleva esserlo), ma un'interessantissima proposta d'avanguardia sonora. Potrebbe essere un gruppo seminale, se qualcuno mai si accorgerà di loro, ma potrebbe anche non esserlo.
Saluti, Ciube.
p.s. vi rimando al loro sito su Myspace per maggiori informazioni.
2008-07-25
Eccovi, con colpevole ritardo, il resoconto del concerto dei New York Dolls di venerdì 25 luglio 2008. Il luogo dell'evento è il Rock Planet sito a Pinarella di Cervia (provincia di Ravenna); l'orario ufficiale è le 2200 , ma è prevedibile che questo sia solo l'orario di apertura dei cancelli. C'è il gruppo spalla. Mi muovo in orario cautelativo e sono sul posto alle 2230. Non c'è coda per entrare ed il locale è diviso in due una parte è dedicata a discoteca (houseacid music), al momento ancora inaccessibile, ed un'altra è riservata al concerto Al mio ingresso trovo già della gente, ma nessuna calca. Ci si ciondola un po' in giro, si beve qualcosa, di osserva il palco, le facce degli altri, i roadie che montano e controllano le attrezzature. C'è anche il chiosco con le magliette ufficiali. I rockers sono variegati, sia come età (una volta tanto non sono il più vecchio) che nei colori. Fa capolino qualche glamer, vedo diverse magliette dei Ramones, un paio del CBGB, qualche altra è dei più recenti Guns 'n Roses; c'è un po' di tutto insomma. Alle 2300 spaccate iniziano i supporters, un gruppo glam italiano - pare - di una certa notorietà. Il leader nonché cantante e chitarrista è un tipo molto addentro alla parte bandana in testa, gilettino in pizzo nero, pantaloni aderenti, stivaletti a punta. E' truccato in faccia (fondotinta e eyeliner); non è un gavanello, anzi direi che sta più sui 40 che sui 30. Uno che vive ancora nell'88. Sono gli Small Jackets e ci danno dentro convinti. Il risultato nel complesso non è male. Se non fosse che il treno oramai per loro è già passato avrei detto che possono migliorare. Il repertorio sembra sia originale, e questo gli da merito, ma l'esecuzione - tecnicamente parlando - è così così. Come ho già avuto modo di commentare con una signorina a fine show, se fossi stato ad una festa completamente ubriaco li avrei apprezzati di più. I riff sono quelli easy del genere, le pose pure. I ritmi molto festaioli, molto rock'n'roll all nite tanto per capirci. Potrei anche esprimere un parere tecnico approfondito, ma non sono loro il piatto forte della serata. La sala intanto si sta riempiendo. La mezz'ora di show è passata da un pezzo e gli Small Jackets abbandonano la scena salutando contenti. Ora entrano in gioco i tecnici che senza fretta fanno il cambio palco; cambia anche il fonico; quello nuovo è un 50enne americano con tanta panza quanta sicurezza nel mettere le mani sulle apparecchiature. Mezzanotte, si affievoliscono ancora le luci; c'è trepidazione nell'aria, la gente (non tantissima per dir la verità) si sposta verso il palco e dopo pochi istanti entrano in scena loro, i New York Dolls (o quel che ne resta). Johansen ha un'aria molto scazzata, professionale e distaccata. Prende il microfono ed inizia la voce è la sua, più calda e più rotonda che nei dischi degli esordi. L'esperienza di 30 e passa anni sui palchi si vede tutta, si muove con naturalezza e disinvoltura, meglio che se fosse a casa sua. All'inizio del secondo brano i riflettori bianchi lo illuminano in pieno e - di riflesso - si illumina anche lui apre il suo sorriso rivolto un po' verso il pubblico ed un po' ai faretti (vezzi da star). Fa vedere la sua faccia da bad boy rugata e provata dalla vita, ma gli occhi azzurrissimi riluccicano della sacra luce della Musica. I 32 denti li mostra tutti in un ampio sorriso che fa corrugare ancor più la pelle del volto. Il look è minimale, pantaloni a vita bassa, camicetta azzurra a collo largo con diverse file di strass incastonati (per chi conosce, un look molto alla J. Angus detto Jamie). Da li in poi è un susseguirsi di classici, di brani che sono un bignami di quanto di buono e bello è stato fatto negli USA blues, rock'n roll, garage, glam, pre-punk sono tutti concentrati in una miscela riuscitissima ed originale, unica per compattezza e divertimento. I classici ci sono tutti, da Personality Crisis a Bad Girl, da Pills a Looking For A Kiss. Non mancano anche alcuni brani dall'ultimo lavoro del 2006 One Day It Will Please Us to Remember Even This che ben si integrano col repertorio della prim'ora. La musica scorre con una facilità impressionante, i brani si susseguono ed ognuno fa restare a bocca aperta. Sylvain Sylvain fa un lavoro egregio, con l'entusiasmo di un ragazzino alle prime armi; gli sguardi di intesa col vecchio leone David sono frequenti così come gli ammiccamenti al pubblico. Il suono della sua chitarra è la quint'essenza del glam, del sound dei burrascosi '70, che si contrappose al tedioso filone progressive-rock e non era ancora così indisciplinato come poi nel punk. Il resto della band è composto da giovani (reativamente) ci sono Steve Conte alla chitarra e Sami Yaffa al basso. Il drummer francamente non l'ho riconosciuto. L'atmosfera è calda, carica di note e di voglia di sentirli tutti i brani di quei primi due memorabili dischi. Ora si che c'è calca sotto al palco, si balla, si poga, qualcuno tenta il lancio dal palco ma la security fa capire che non è il caso. David Johansen adesso si è decisamente sciolto; immagino non si muova con la stessa energia con cui affrontava il palco 35 anni orsono, ma le sue movenze sono comunque intrise di naturale sensualità ed il suo modo di tenere la scena è da vero cavallo di razza del palco. Non credo nessuno fosse qui per avere l'impossibile, ovvero fare un viaggio a ritroso nel tempo. Quello a cui si sta assistendo è un grandissimo concerto di puro Rock 'n Roll. Ok, manca la parte trasgressiva - fondamentale ai NYD per affermarsi in quel periodo - ma c'è la Musica. (tanto per fare un esempio, se si pensa a Hendrix vengono in mente le note di Foxy lady e non la chitarra bruciata a Monterey...). New York Dolls del 1973 e Too Much Too Soon dell'anno successivo sono due pietre miliari dei settanta, in particolar modo per gli States. Riprova di questa mia convinzione ne ebbi nel '96 quando, durante un collegamento radio di Antonio di Bella da NYC per Radio 2 Rai in occasione delle Olimpiadi di Atlanta, fu usato come sottofondo al servizio proprio un brano dei NYD. Fu la prima volta che sentii passare un loro pezzo su una radio italiana e per me fu una implicita ammissione di sdoganamento della trasgressione dei NYD verso il grande pubblico. E' un po' come quando si sente Chuck Berry nella pubblicità dei Pavesini o i Ramones nello spot di uno scooter vuol semplicemente dire che quella musica è oramai patrimonio di tutti, della nostra società. Bon, chiudo questa parentesi di costume-e-società. Torno alle note di cronaca che altro dire, sono stato attentissimo con tutti i sensi, in modo particolare udito (ovvio) e vista. Ecco, mi vengono in mente gli inserimenti di cesello fatti da Johansen con l'armonica, così come le smorfie - volutamente caricaturali - durante Dance Like A Monkey ma di dettagli ce ne sarebbero mille da citare. Non posso tacere un fatto il fenomeno Syl Sylvain. I NYD agli esordi giocarono molto sull'ambiguità sessuale; nelle foto di copertina (LP) si fecero ritrarre in aderenti calzamaglie, pittati, con improbabili parrucche e vestitini svolazzanti. Era sicuramente parte dello show, ma dopo aver visto Sylvain di persona mi viene il dubbio che qualcuno un po' così nella band ci fosse (e vi sia tutt'ora...). Fisicamente sembra l'incrocio tra Danny de Vito e Alvaro Vitali (più il secondo per dir la verità) ma si muove come Solange. Ha gli occhi furbi e svegli e quando guarda Johansen si capisce che l'ammirazione non è il solo sentimento che nutre per lui. Ha il volto di un ragazzino e mai e poi mai gli si darebbero più di 30-35 anni. Nessun segno di chirurgia plastica. Fresco, sbarazzino, suona, fa i cori, prende il microfono e presenta la band, chiama Johansen my brother. Insomma, un vero pilastro di questi NYD. Il resto della band fa quello che deve fare, senza strafare. Esecuzioni belle, fedeli agli originali ma aperte a piccole varianti sul momento (ad esempio al pubblico italiano è piaciuto molto il coro inneggiante a Bo Diddley, rifatto quindi ben due volte). Guardo l'orologio ed un'ora abbondante è già volata; oddio come passa veloce quando il concerto è bello... ancora due brani e c'è la pausa pre bis (oramai rituale). Il pubblico li acclama, rientrano dopo poco e buttano lì ancora qualche chicca. Ancora! ancora! chiede a gran voce la folla ed ancora un ultimo brano viene eseguito. Poi si dileguano nel backstage e le luci si accendono. Finito il concerto. Vogliamo dare i voti Suvvia, sarebbe come se una maestra che è appena uscita dalle magistrali volesse dare il voto in matematica a Gauss! Ma questo è il circo del Rock ed io ne sono un pagliaccio, quindi i voti mi permetto di darli (sempre con il dovuto rispetto) ambiente 8 (a me il Rock Planet piace); pubblico 7 (le prime file erano di fan scatenati); impianto e fonico 8; NYD 9. Avrei potuto anche dare un voto più alto all'esibizione, ma allora chi li avesse visti agi esordi che voto gli avrebbe dovuto assegnare Un'ultima considerazione per quanto sia bellissimo vedere certi miti ancora in splendida forma (NYD e Radio Birdman ad esempio) è comunque triste pensare che di giovani leve che possano prendere il loro posto non ce ne siano, o almeno, non si fanno vedere da queste parti. Fra trent'anni, sempre che sia ancora vivo, chi andrò a vedere
Saluti, Ciube.
p.s. In rete ho trovato la recensione (con foto) dello show tenuto il giorno prima a Bergamo (link) che è molto in linea con quanto ho visto io. La mia Myspace-amica Connie ha invece commentato in maniera differente lo spettacolo; vi rimando al suo blog per maggiori dettagli (vai)
2008-07-18
Resoconto breve questa volta. Ci si muove per tempo da Cattolica e si è in Ferrara già alle 19:30. In un battibaleno si è in centro e senza fare coda si procede all'acquisto dei biglietti (25 EU). La zona già pullula di facce da rock ed in lontananza, dietro agli archi che danno l'accesso alla piazza, si vede il palco con gente che si muove. Decidiamo per uno spuntino veloce "Al Brindisi", la più vecchia osteria del mondo, luogo ove anche Copernico - durante i suo studi ferraresi - era solito farsi qualche calicetto. 20:45 usciamo e ci dirigiamo verso la piazza del concerto. I venditori di magliette non ufficiali hanno già esposto la mercanzia ed invitano i rockers all'acquisto. Si è formata coda per i biglietti ed anche per entrare ci saranno un centinaio di persone in attesa. Iniziano i dEUS, con netto anticipo rispetto alla scaletta: è qualche minuto prima delle 21:00. La luce del giorno c'è ancora ed il combo belga da il via allo show. Sotto al palco c'è gente ed altra ne continua ad affluire, senza premura e senza patema. La piazza è grande e di spazio ce n'è. L'inizio è quasi dimesso; deve passare qualche canzone per vedere il quintetto entrare in sintonia. Le luci del giorno calano e contemporaneamente si fanno più forti quelle colorate dei faretti. Nuvole di fumo azzurro avvolgono i cinque e l'atmosfera assume un che di etereo. Formazione democratica anche nello schieramento: da destra a sinistra troviamo basso, chitarra, voce e tastiere, tutti sulla stessa linea sul palco; il batterista sta un po' arretrato per ovvi motivi logistici. Tutti allo stesso livello, tutti con pari dignità. Scorrono le note ed il suono si amalgama sempre più, diventa come un ragù che acquista consistenza, compattezza e sapore mano a mano che passa il tempo sul fuoco. I brani proposti sono quelli dell'ultimo periodo, in particolar modo dell'ultimo disco (il tour è palesemente promozionale, e non c'è nulla di male in ciò). Il pubblico dimostra di essere preparato, qualche signorina sculetta un po', ondeggia i fianchi invitata delle note - sempre molto cadenzate e ritmate - che vengono suonate. Mi estraneo un po' e cerco di capire i dEUS, qual è la loro cifra stilistica, il nocciolo del loro fare musica. I brani, almeno quelli proposti, hanno tutti il medesimo andamento: prima lento e scarno, poi via via sempre più carico. I brani si arricchiscono di armoniche e crescono, in una sorta di galoppata sempre più veloce e tirata; in alcuni momenti ha un che di sessuale questo modo di far evolvere i brani. La voce, seppur caratterizzante, non è l'anima; fa più che altro da rifinitura, sottolinea i passaggi e da connotazione. La vera "forza" è la sezione ritmica. Solida ma non invadente, composta e nello stesso tempo determinante in tutti i brani, la si nota sia per la presenza che per l'assenza. Il concerto cresce ancora ma le 22:00 sono prossime. Niente classici, niente soddisfazione ai fan della prima ora (niente Suds And Soda). Poi l'annuncio dell'ultimo brano; la notte è scesa e le sole luci multicolori disegnano ora la coreografia. Un ultimo inchino, due parole in (buon) italiano, un ringraziamento e via. Come saprete, non sono un vero e proprio adepto dei dEUS, ma per questo concerto mi ero preparato. Non posso quindi spendere paroloni di elogio o sperticarmi nell'acclamarlo quale evento dell'anno. E' stato un buon concerto, un bel modo di approcciarmi al fenomeno dEUS (oramai passato, diciamolo). Non ho sentito il desiderio di comprarmi tutta la loro discografia ma non rimpiango di essere andato a vederli. E già è qualcosa. Escono di scena i belgi ed i lavoratori del backstage preparano ed allestiscono per i newyorkesi Interpol. 22:25 inizia La seconda parte dello show. Ed anche per loro mi ero preparato come si deve: nell'ultima settimana il mio player non ha mollato un attimo i loro 3 dischi. Su CD non mi hanno entusiasmato, ma un po' perchè sono di moda, un po' perchè sono in programmazione spesso su Virgin Radio, un po' perchè hanno come emuli gli Editors, mi ritrovo sotto al palco del loro concerto. Luci, scenario, spazi, divise anni '60 tutto ordinato e ben preparato... ma la musica dov'è? Me lo chiedo da dopo 20 minuti di concerto e fino alla fine. Sempre la stessa gnagnera di chitarrina strimpellata con un unico accordo (fastidioso). Sempre la voce a creare angoscia. Madonna che due palle! Qualche nota la riconosco (e ci mancherebbe altro, con la scorpacciata che mi sono fatto di loro CD) ma proprio non mi dicono niente. Durante il concerto ripesco nella memoria un abbozzo di teoria che avevo iniziato a formulare per schedare la musica: alla base c'era il Rock 'n Roll e poi c'è il resto. Il Rock ha per forza una parte di R&R in se; se manca non è Rock. E qui proprio manca. C'è un sentore di new wave inglese dei primi '80, venata di tristezza emo contemporanea che irrita molto. Provo disagio. Ma non è il disagio dei Sonic Youth, tanto per capirci, è il disagio di sentire gente che non ha niente da dire osannata da critica (immagino) e pubblico (eh si, ci saranno state 5-7000 persone in piazza a Ferrara). Il nulla - musicalmente parlando - ben impachettato e venduto. Nessuna energia, nessuna trasgressione, nessuna abilità musicale: il nulla. Ok, devo dire che non mi posso ritenere deluso, ma per il solo fatto che ero preparato. Il tedio che propongono è lo stesso dei dischi, nulla di nuovo quindi. Gli ho dato una possibilità, li ho ascoltati, li ho anche pagati e perciò posso a buon diritto dare giudizi: evitateli. Non hanno niente da dire e niente da dare. Sono solo un fenomeno da sfruttare per vendere qualche maglietta (eh si, non ho mai visto tante bancarelle di magliette e capellini come a questo concerto. Oramai i soldi nel music-biz si fanno con le magliette e non con i dischi...). Meglio sicuramente andare a vedere la reunion dei Thake That o qualcosa del genere. E penso di aver detto tutto con questo. Volete anche la nota tecnica? Il fonico era - anzi è, visto che nessuno l'ha ancora ucciso - un cane: a metà concerto ho guardato per 3 minuti il batterista che picchiava con un certo impeto sui piatti e dall'impianto non usciva niente! Tutte le alte frequenze tagliate, nulla sopra i 3 kHz. Impianto di prestigio (garantito quindi), apparecchiature costose (mixer digitali) e molta sostanza hardware. Peccato che "l'intelligenza" che doveva muovere questa bella macchina da musica era quella di un inetto: ha praticamente mandato il concerto in mono (non in mona, in mono in contrapposizione a stereo). Voti: location: 8,5 ; dEUS: 6,5 ; Interpol: 2 ; impianto: 7,5 ; fonico: 3 ; pubblico: 6,5 (qualche signorina gradevole c'era).
Saluti, Ciube.
2008-06-24
Erano gli anni ’90, metà degli anni novanta per l’esattezza, ed io - giovane studente universitario - sovente ascoltavo Radio Due. Il mio programma preferito era Planet Rock: i conduttori erano bravi, simpatici, competenti (molto), per nulla spocchiosi e saccenti o pontificatori. E poi ce n’erano tanti, si alternavano, ed ognuno diceva la propria, si discuteva, si ascoltava l’opinione del pubblico, e poi c’erano i concerti, sia nella sala della Rai che registrati in giro per il mondo. C’erano addirittura i quiz e si vincevano i biglietti per i concerti. E il programma durava tanto, da dopo “Alle otto della sera” fino al GR della mezzanotte, e spesso poi c’erano dei bei programmi a tema anche durante la notte e la musica veniva trattata con rispetto, cercando i come ed i perchè, perlustrandone le connessioni, scrutandone le evoluzioni sempre mantenendo il dovuto riguardo al passato... bei tempi. E tra i tanti ascoltatori che partecipavano attivamente c’e ne era uno con un nome strano: Eliseno. Lui era del fan club, ed era calabrese. Questo ricordo. Ed il suo nome era associato, per me da ascoltatore, a quello di un gruppo australiano poco noto ma - a dir suo - fondamentale. Erano gli anni ’90 ed internet ancora non c’era e se c’era lo si usava in modalità testuale dall’università; trovare certi dischi era molto difficile se non impossibile. Passarono gli anni e Planet Rock venne a mancare. Altri anni trascorsero ed io mi trovai per qualche mese in Australia; oramai erano passati due lustri buoni ed il mondo della musica era cambiato. I CD si potevano copiare o scaricare da internet ma in un paese civile (o semplicemente ricco) come l’Australia i negozi di dischi non mancavano. Su uno scaffale vidi un CD tutto argentato con la scritta “The Essential Radio Birdman” ed esclamai in automatico: “Eliseno!!”. Fu l’unica cosa che riportai con me da quelle terre lontane. Fosse stato un LP dovrei dire che l’ascoltai talmente tanto da consumarne i solchi, ma essendo che è un CD per fortuna non successe... Passò ancora qualche tempo e lessi su un forum che i Radio Birdman avrebbero fatto un concerto in Italia (Cesena, settembre 2006). Ci andai e fu bellissimo: uno dei concerti più emozionanti degli ultimi 10 anni; vedere questi “vecchietti” fare il Rock come (e meglio) di tanti giovani mi ha fatto ricredere sulla longevità in ambito musicale (ho fatto mia la teoria che un gruppo o artista dice tutto quello che ha da dire nei primi tre lavori, poi per il resto della carriera lo mette solo “in bella copia”). Mi sono veramente emozionato e per più di metà concerto ho avuto la pelle d’oca. Poi li ho rivisti a Bologna l’anno dopo ma un po’ di magia si era persa, fa nulla. Come concludere questa vagonata di ricordi? Con un semplice “Grazie Eliseno!” Per me il tuo nome sarà sempre legato a colui che mi ha fatto scoprire i Radio Birdman.
Saluti, Ciube.
2008-04-11
Ha la schiena dritta Holly, come le donne del sud. Ha le spalle larghe e gli occhi scuri e furbi Hooly, come le donne del sud. Ha un vestitino a fiori e calza stivali in pelle da campagna, Holly, come le donne del sud. Ha la voce fine, ferma e potente, come le donne del sud. Quando la senti cantare respiri l'aria del sud, e ti guardi attorno cercando cappelli a falde larghe e stivali con gli speroni... sud degli States, ovvio. Basta poco per illudere chiunque: un "one-man band", due chitarre, un tamburello, un ditale in metallo è ti senti subito in Texas. "Venerdì suona Holly Golightly al Bronson, andiamo?". "Chi ??.." . Me l'hanno proposto così questo concerto; ammetto (cospargendomi il capo di cenere) di non aver avuto idea alcuna di chi fosse Holly, ma è bastato farmi prestare un suo CD il pomeriggio prima del concerto - per farmi l'orecchio - e sentire alcune delle sue canzoni per rendermi conto che l'operazione concerto s'aveva da fare. 11/04/2008 - 22:30 siamo al Bronson, music club nei paraggi di Ravenna. La gente è poca, una ventina di persone, ci si guarda un po' attorno, si scrutano le facce. C'è atmosfera da pub più che da pre-concerto. Giampy mi dice che normalmente lì si inizia a suonare tardi. Attendiamo chiacchierando e sorseggiando un drink. 23:30 sale sul palco un ragazzo, si sfila le scarpe e si siede sullo scagnetto dietro alla variegata strumentazione: una cassa, un charleston, un rullante, due chitarre. Ha un aspetto molto grunge, capello medio-lungo tirato su un lato del volto e barba di due giorni. Imbraccia l'acustica e inizia a suonare. Si capisce subito che c'è del buono e l'atmosfera già dalle prime note si fa country. Lui è Dave Lawyer e - forse - nei dischi è celato dallo pseudonimo di Brokeoffs. Fa tre pezzi, si rialza, infila le scarpe e se ne va. Il pubblico è cresciuto ma continuiamo ad essere in pochi, forse un centinaio. In mezzo agli auditori c'è una donna, ne bella ne brutta, ma la si nota per il portamento fiero: è Holly. Mentre ascolta il suo partner musicale batte il tempo col piede, e non riesce a farne a meno. Dondola un po' e le sue movenze vengono amplificate dallo svolazzare del vestitino leggero. Terminata la breve performance di Dave se ne va anche lei nei camerini e dopo poco sono ambedue sul palco. Holly imbraccia la sua chitarra ed inizia con " Hug you kiss you squeeze you". ... Musica!!!
A parole è difficile dire ed esprimere quanto sia stato coinvolgente e "bello" nella sua semplicità. In diverse occasioni ho pensato che non fosse poca la gente ma troppo grande il locale. Mi sono immaginato in una cantina di Bamberg, circondato da americani veri, con delle birre sul tavolo, ed ho pensato che quella era la location giusta. E poi mi sono immaginato i due a fare i suonatori di strada, magari sotto ad un portico per migliorare l'impatto sonoro ed io che sto li di fronte a mettere monetine nella custodia della chitarra... sarebbe stato bello uguale. La voce e le atmosfere sono di quelle che non ti stancano, che ascolteresti per ore. La slide di Dave è indubbiamente country; non so perchè a me la slide fa anche molto Hawaii, Honolulu, ghirlande di fiori... ma è cosa personale. Un'oretta di bella musica, gradevole e piacevole. Quando Holly parla e presenta i brani però si sente che non è del Texas, anzi, quel accento londinese un po' stona; fortuna che ha parlato poco. Alla fine concedono il bis di rito, fortemente voluto dal pubblico; gli applausi man mano che scorreva il concerto si sono fatti sempre più forti e lunghi, segno che s'è creato coinvolgimento e feeling crescente. Poi l'autofinanziamento e la vendita di CD e magliette. E visto che ho gradito mi sono comprato un disco live "Nobody will be there" che sto giusto giusto ascoltando ora mentre scrivo.
Saluti, Ciube.
addendum (nota di colore)
Poco dopo il mio arrivo al Bronson è giunta anche una coppietta. Lui 1.70 "stagno", scuro di capelli e con gli occhiali, lei biondina eterea coi capelli raccolti a coda di cavallo, 1.70. Indossa (lei) un vestito blu scuro da collegiale, corto sopra al ginocchio, con un ampio colletto bianco. Da lontano non ci faccio molto caso, poi a inizio concerto vedo che è la signorina che si muove di più, dondola i fianchi (sculetta) e si fa trascinare dal ritmo. E'come una perla buttata fra sassi scuri, si stacca nettamente dal resto delle persone (ci sono diverse signorine peace&love con ferri vari). La coda dell'occhio mi casca qualche volta su di lei ed inizio ad immaginare di dove possa essere. I due si spostano e mi vengono praticamente davanti; ho così modo di sentirne la voce. Parla in italiano ma non è italiana. Guardo un po' meglio e vedo fare capolino dal colletto bianco un tatuaggio colorato, guardo ancora e noto che - probabilmente - lo stesso tatuaggio arriva fino alle braccia, le copre quindi tutta la schiena! Sono rose e spine e qualcos'altro ancora. Lei ha un faccino molto pulito e gli occhi chiari. Germania o Austria, così sentenzio. Quasi quasi non ci penso più su ma la curiosità è tanta Poi la mossa decisiva. Va al bar a prendere da bere, da sola. Torna con una Coca Cola per il moroso e con una BIRRA per se. Non è tedesca, non è austriaca, non è scandinava ne olandese, come l'aspetto potrebbe far supporre: quella ragazza può essere SOLO ceca! Nessuna ragazza al mondo, che non sia ceca, può scegliere tra le varie birre in bottiglia disponibili, Corona, Becks, Carlsberg, Ceres, ecc... una Pilsener Urquell!
2007-10-23
Venerdì scorso, nel mentre stavo saltellando tra un sito e l'altro di Myspace, ho trovato questo annuncio: VINCI 3 BIGLIETTI PER IL CONCERTO DI LE PEUPLE DE L'HERBE! Non so chi siano i Peuple de l'Herbe ma il quiz è facile e quindi rispondo (era una domanda attinente la nuova legge che impone il divieto di vendita degli alcolici nei locali di pubblico spettacolo dopo le 02:00). Per dovere leggo anche il prospetto di informazione sul gruppo, senza prestarci molta attenzione. Sabato verso ora di pranzo mi leggo la posta e... toh! mi scrive uno dei DJ del Velvet di Rimini dicendomi che ho vinto il biglietto. Po' bon, tanto tornare in Abruzzo oggi o domani non mi cambia niente, tanto vale fermarsi qui per una seratina musicale. Gli orari, a causa della legge, vengono modificati ed anticipati di una mezz'ora. Alla 23:00 in punto sono al club, vado alla cassa, mi faccio timbrare la mano ("La città creativa"), poi il timbro fluorescente e via giù per la rampa in ferro gommato e zigrinato del Velvet! ... E' vuoto, saremo si e no 30 persone nessuna delle quali sotto al palco. E si che negli annunci erano stati chiari: inizio concerto alle 23 spaccate. Non c'è movimento attorno agli strumenti, segno che è già tutto pronto. Al mixer audio e luci due francesi che si scambiamo qualche parola in lingua. Piano piano arriva ancora qualcuno, ma poca roba. 23:15 spruzzate di fumo sul palco, la musica di sottofondo in sala scema e si accendono dei fari rossi che fendono la coltre appena nebulizzata. Con piede veloce si avvicinano un po' tutti i presenti nel locale a ridosso delle transenne ed ecco che fanno capolino i 5: in due si piazzano al centro, microfono in mano, uno s'arrocca sulla batteria, uno dietro alle tastiere e l'ultimo dietro alla banco da DJ con giradischi, PC e ancora qualche altra diavoleria elettronica. 1, 2, 3.. e alè, via che si parte! Eccovi una nota di colore: lungi da me il voler essere discriminante, ma i francesi si vede che sono francesi lontano un chilometro. A prima vista li etichetto subito come un gruppo di froci, poi a pensarci bene sono così tutti in Francia e quindi saranno - immagino - solo dei comuni bisessuali (come tutti in quel paese). L'MC - forse di nome fa JC001 - si presenta come un nano coi baffetti alla Clark Gable ed un cappellino da banda Bassotti, fastidioso all'aspetto ma abilissimo con le parole; va via come un treno ad inanellare parole su parole. Bel timbro di voce e grande senso ritmico; un po' come Scatman John (per chi se lo ricorda). Nonostante la temperatura un po' bassina, la gente inizia a muoversi, ad agitarsi, e nel giro di 3 brani volano via dei giubbotti e delle maglie. L'impatto è molto buono, gli MC si alternano e si intrecciano, Psychostick - il batterista - pesta duro e tiene elevato il ritmo. Come definirla questa musica? Non è il genere nel quale mi destreggio meglio; i primi riferimenti che mi vengono in mente sono i Beastie Boys (per il modo di mescolare) e gli F.F.F. (Fédération française de funk) ma non cito altri per mia ignoranza. In realtà quello che viene creato sul palco è un misto di funk, drum and bass, trip hop/hip hop, l'acid jazz in una mescolanza di grandissimo impatto. Si vede che i ragazzi hanno manico; la scena è sempre in movimento con cambi anche di strumenti (viene abbandonata la tastiera per il basso ed i giradischi per la tromba, ecc...). Compare anche un altro MC (penso Sir Jean) che è l'emblema del nome del gruppo: all'aspetto è jamaicano; solo a vederlo si capisce che è uno che si tuona dalla mattina alla sera... Vengono create scenette e si simulano cannoni di dimensioni spropositate. Insomma a mezzanotte meno un quarto non c'è corpo che non sia trascinato nella danza, o che non ciondoli al ritmo - invero piuttosto elevato - delle battute D&B che fanno il groove del concerto. L'impianto suona forte (e se lo dico io ci potete credere) ma anche bene; è un vero spasso sentire le fondamentali a 40-60-70 Hz tirate a livelli da far tremare tutto il capannone. La gente continua ad affluire ed a mezzanotte la pedana è completamente piena; la gente sta larga ma solo per poter avere spazio per la danza. Gli MC incitano il pubblico con qualche parola in italiano mentre Sir Jean insiste nella sua lingua. Ma qui evidentemente si è aperti anche alla cultura francese e qualcuno gli risponde nel suo idioma. Poi canonica pausetta e 20 minuti di bis con bella e strabordante tirata drum & bass finale. Alla fine ci sono 300/400 persone che continuano ad applaudire sotto al palco invitando i francesi a continuare, dimostrando di non voler sciogliere le fila fino a quando il personale dello staff non scollega la strumentazione. Rileggendo le note appena scritte mi rendo conto che non ho reso affatto l'idea del bel concerto a cui ho assistito. Normalmente quando si va ad ascoltare qualcosa impreparati difficilmente se ne resta colpiti ed affascinati. Beh, io al più presto mi procurerò qualcosa di questi Peuple de l'Herbe... Non sono dei ragazzini e si sete; dalle note trovate sul loro sito pare che abbiano un'attività frenetica e siano in circolazione da almeno 10 anni. Si vede che sono ben rodati, ma questo nulla toglie alla freschezza della loro proposta musicale: un bel mix di elettronica e ritmi (rumori?) urbani. Bravi!
Saluti, Ciube.
2007-07-14
Sabato 14 luglio 2007, anniversario della presa della Bastiglia, probabilmente sarà un gran giorno: oggi rivedrò i Mudhoney. Sono passati 13 anni (madonna se ci penso, era l'altro ieri che mi aggiravo per i divanetti a chiedere autografi ad Arm e soci...) da quando li ho visti ed ancora mi stanno ben impresse in mente le sensazioni di quella sera. Mi muovo per tempo ed alle 22:05 sono all'ingresso del mitico (è un aggettivo che odio perchè oramai usato per qualsiasi cosa, ma come altro definire uno dei rock club più importanti d'Itala?) Velvet di Rimini. Alla biglietteria c'è una discreta coda, una cinquantina di persone, tutti diligentemente disposti su due file. Le facce sono tranquille, nessuno sfatto, nessun agitato; persone, ragazzi del popolo del rock, ognuno con la sua maglietta-bandiera che racconta un pezzetto di storia personale. Leggo così qualche Sonic Youth, un Alice in Chains, un Melvins, Blues Explosion, un raro AC/DC, un paio di Muse, ed altro ancora. Incrocio qualche volto familiare. Non possono mancare i tatuaggi che fanno capolino da sotto le magliette a maniche corte ne il luccicare di qualche pezzetto di acciaio chirurgico che spunta qua e la da labbri, nasi, orecchie. Tutto nella norma, nessun eccesso. Biglietto economico (16 EU) e ticket SIAE senza logo, peccato. Entro nel locale scendendo dei gradoni fatti in lastre di ferro zigrinate antiscivolo. Nell'ambiente c'è una nebbiolina che rende eterea l'atmosfera dei pochi faretti. Il locale è abbastanza grande, ma non enorme: a pieno potrebbe tenere 2000 persone (anche se qualcuno dice 6000). Ci sono delle gradinate sulla destra, delle vetrate sulla sinistra e sul lato corto il palco. Noto le due linee di strumenti, segno inequivocabile che il cambio tra gruppo spalla ed i titolari della serata sarà rapido. La gente mano a mano affluisce, scorre, si posiziona. Prima tappa il bar, in molti girano con la birretta in mano. Molti capelli lunghi, molti coi capelli rasta, molti con l'aria scazzata - direi estiva - e le infradito. Ci sono anche delle femmine, ma non delle glam-girl, niente trucchi pesanti o stivaloni a mezza coscia. 22:40 iniziano gli Home. Il gruppetto è di tre elementi, chitarra-basso-batteria. Il batterista è quello che canta. Propongono un rock 'n roll (brit pop) suonato energicamente, si fanno ascoltare con piacere. Hanno anche una divisa: camicia rosa con riga scura al centro e pantaloni scuri. Fanno il loro e qualcuno si agita sotto al palco. Onesti. Il pubblico è arrivato a circa 400 persone, forse qualcosetta in più. 23:15 gli Home salutano e ringraziano, smontano i loro strumenti e si dileguano. Poi 2 tecnici si aggirano sul palco ed in 10 minuti tutto è pronto. La tensione cresce. 23:30 si fiocano ulteriormente le luci ed i quattro Cavalieri del grunge di materializzano sulla scena. Si parte subito con un pezzo vecchio (anni '80), seguono brani più recenti, del periodo di mezzo (1995-2001) ma c'è qualcosa che non va... Arm è come 13 anni fa, la sua voce è sempre graffiante, la faccia è smilza e sembra sempre più Iggy Pop. Lukin non c'è - lo sapevamo - ed al suo posto c'è Guy Maddison, australiano pacioccone di Perth. Dan Peters è sempre uguale, pesta quanto deve e da il ritmo alla macchina sonora. Ma Steve Turner dov'è? Dov'è quel faccino da nerd che ha riscritto la grammatica del distorsore fuzz? Non lo vedo... vedo invece il sosia di Jovannotti ai tempi del collettivo Sole-Luna. Steve ci sei? Ti prego Steve. Riccioli castani e barba lunga ne celano parzialmente il volto. Manca qualcosa, manca il feeling. Il ritmo non è quello giusto, i brani non sono quelli che il pubblico vuole, le sensazioni non sono quelle che il pubblico vuole. Nella voce di Mark c'è il disagio, lo stesso disagio degli esordi (1988) ma è un disagio rassegato. Manca la carica, manca la rabbia, manca l'illusione di poter cambiare. Stamattina ho ascoltato "Under a Billion Suns" e mi era venuta la pelle d'oca. Ora risento lo stesso brano suonato dal vivo e non provo niente. Il trend di "scurimento" della musica dei Mudhoney era iniziato già da parecchio e tutte le ultime produzioni (Tomorrow Hit Today, Since We've Become Translucent, Under a Billion Suns) ne sono pervase. Il ritmo, il ritmo manca! Manca l'energia. E non sono il solo che lo pensa. Niente pogate, pochi si agitano sotto al palco, in due soli momenti c'è stata un po' di esaltazione - e ci mancherebbe che non fosse successo così durante "Touch Me I'm Sick" - ma l'euforia non si è mantenuta. 60 minuti giusti e poi il primo saluto al pubblico. Scontato il bis (10 minuti) ed altra manfrina per poi buttare lì un ultimo brano. Niente, niente urla neanche durante i bis, nessun entusiasmo. Si accendono le luci, io ho la copertina dell'ultimo CD in tasca ed un pennarello per prendere qualche autografo. Ci penso e non mi sembra più un'idea così buona come mi era sembrata in mattinata. Non credo sia il caso di immortalare con qualche firma l'epitaffio di uno dei miei miti. Cazzo loro ERANO i Mudhoney. La prova del tempo ne fa fuori tanti, quasi tutti direi (musicalmente intendo). Ci sono musiche che sono frutto del tempo in cui nascono; i Pink Floyd psichedelici ora sarebbero anacronistici, i Genesis ora sono anacronistici, ahimé i Mudhoney ora sono anacronistici. Non posso dire che suonano vecchio, ma suonano un disagio che non c'è più. Il disagio c'è sempre, ma non è più QUEL disagio. Siamo nel 2007 ed io vorrei sentire qualcosa che mi emozioni e che sia stato inciso quest'anno.
Saluti, Ciube.
p.s. non sto neanche a riferire - come faccio solitamente - dell'impianto di amplificazione; è a tutti gli effetti un dettaglio marginale di fronte ad una delusione simile.
2006-09-30
Questa volta non starò a raccontare per filo e per segno tutto quanto è successo durante il concerto dei Radio Birdman al Vidia Club di Cesena; se vi interessa cercatevelo su qualche blog in rete (o chiedetemelo). Sappiate solo che io c'ero, ed è stata un'esperienza inimmaginabile.
Vi posso però dire che: IL ROCK E' VIVO!! e gode di ottima salute, anche se ha più di 50 anni.
Saluti, Ciube.
2006-07-09
L'estate: la stagione che per antonomasia è dedicata alla musica all'aperto. Non fa eccezione il 2005 che con un intensissimo luglio si prospetta anzi come uno degli anni più ricchi in quanto a festival e concerti. Come non citare il prossimo "Isle of MTV" nella nostra amata Trieste o il Venice Rock Festival (1 mese intero di esibizioni) di prossima inaugurazione o il Pistoia Blues Festival in svolgimento proprio questo fine settimana? Ma poi ci sono Arezzo Wave & Jazz festival, Poretta Soul Festival e chi più ne ha più ne metta. No, non sono qui a dirvi dove - forse - andrò, ma a raccontarvi, come spesse volte e già successo, di un'esibizione musicale alla quale ho avuto occasione di assistere, voi assenti. No, questa volta non ho fatto proclami di sorta, non ho mandato mail di avviso, un po' perché l'artista non avrebbe - a torto - richiamato più di tanto al vostra attenzione ed un po' per l'mpegno di una eventuale trasferta. Ma bando ai preamboli ed eccovi il resoconto: Nereto (TE), parco comunale On. Sandro Pertini, ore 22:15 del 9 luglio 2005. Grande palco di 20-25m, tre cluster di casse sospese più sub a terra, impianto luci posizionato su un'imponente americana, 1500-2000 persone in composta e ferma attesa. Sale sul palco, subito salutata da uno scoscio di applausi, stretta in un aderente abito scuro con audaci trasparenze e qualche lustrino (come si confà ad un abito di scena) Orietta Berti! Con la verve e l'innata simpatia che la contraddistingue saluta e si mette a scherzare col pubblico, tanto per sciogliere la tensione e per familiarizzare un po'. Poche battute e poi via con una sequenza impressionante di classici, nuove canzoni, remake ed anche qualche cover. Il pubblico, composto prevalentemente da coetanei dell'artista, assiste composto, ma emotivamente partecipe, all'esibizione; non manca qualcuno che ogni tanto accenna a dei passi di danza, ma la maggior parte osserva estasiato, quasi trattenendo il respiro, in direzione del palco. Ad onor del vero debbo riferire anche di qualche giovane che mosso da curiosità offriva la sua presenza. Una dopo l'altre si sono succedute alcune delle più belle canzoni italiane del periodo a cavallo tra i '60 ed i '70. Quasi tutti i brani hanno una storia legata alle grandi esibizioni canore italiane: festival di San Remo e Un disco per l'estate su tutte. La Berti, veramente in splendida forma, ha brevemente introdotto ogni singolo brano, interpretandolo poi magistralmente. Forte e deliziosa la voce della cantante che con misurati e ampiamente collaudati gesti accompagnava coreograficamente la melodia. La band era in formazione classica basso-batteria-chitarra-tastiere ed ha - come è giusto - lasciato completamente il palco alla nostra; nessun a-solo quindi, nessun tentativo di sopraffare la titolare. La successione di classici è stata impressionante; si è andati da "in fondo alla via" - portata poi al successo intrenazionale da Tom Jones - a "tipitipita". La quasi totalità dei testi rientrano nella più consolidata tradizione melodica italiana, con tematiche sentite come l'amore, il tradimento, l'abbandono, la lontananza, "l'altra", ma non è mancata la canzone di denuncia, in questo caso rivolta genericamente agli amministratori della cosa pubblica. Tra i brani che maggiormente hanno scosso la platea si possono citare "In via dei ciclamini" (confesso, questa canzone ha fatto venire la pelle d'oca anche a me) e l'intramontabile "Fin che la barca va" nella versione integrale (forse non tutti sanno che il testo originale prevedeva espliciti riferimenti sessuali poi epurati nella versione radiofonica e televisiva); il concerto si è poi concluso, dopo più di un'ora e mezza, con "Io tu e le rose" con la folla festante e plaudente. Nessun bis, non perché non richiesto, ma per motivi di orario e di ordine pubblico, ma un semplice ed affettuoso saluto, un arrivederci detto con quell'accento emiliano che tanto sa di casa e di ragù. Nulla da eccepire, grande esibizione, grande artista. Immutata la sua semplicità comunicativa che giunge diretta all'animo. Mi spiace per chi non c'era, ma son qui a farvi almeno un po' partecipi. Lo so, sentire certe cose su un'artista come Orietta Berti fanno strano, soprattutto se dette da chi ha battuto il cinque a Lemmy Klimster, ma anche questa è Musica, è fa parte del nostro background culturale acquisito per osmosi negli anni. E poi, perché non tributare i dovuti onori alla musica popolare nostrana che nulla ha da invidiare al country USA o alle ballate irlandesi?
Un saluto a tutti, Ciube.
p.s. due citazioni sono d'obbligo: "l'amore è come l'edera, si attacca dove muore" e "quando l'amore viene il campanello suonerà." A proposito di quest'ultimo passaggio, quanti sanno della maliziosa strofa successiva? "questa sera ha suonato il campanellO, ma il fidanzato ce l'ho già" .... Nulla da dire, GRANDE ORIETTA!!!
p.p.s. A fine marzo mi è capitato di prendere un caffè con Raoul Casadei, ma questa è tutta un'altra storia....
2006-01-28
.. PAOLANTONIO ROCK CITY! ...
Cosa altro dire dopo un evento musicale tanto gradito quanto inaspettato?! Faccio un passo indietro per spiegare il fatto. Già quest'estate ho avuto modo di prezzare nel territorio della Val Vibrata di un certo fermento fra gli adolescenti: qualche punk, un po' di metallari ed addirittura dei dark! insomma gente alla quale piace essere "contro" e che manifestano con l'abbigliamento e con le preferenze musicali alternative il proprio disagio, vero o presunto. Bene, alla sagra del vino di Controguerra ho potuto ammirate proprio questa fauna anomala per una zona a forte vocazione produttiva; il motivo del raduno estivo fu l'inanellarsi di un paio di concerti tenuti da cover band di Deep Purple e Led Zeppelin. L'altra sera me ne stavo tranquillamente addentando un panino con la porchetta in centro a Sant'Egidio (che nulla centra con l'omonima comunità) quando mi sono imbattuto in un paio di volantini affissi su delle vetrine: "Post Human al Jammin Music Pub" e più sotto "Marilyn Manson tribute band" , così pubblicizzava il colorato avviso. Comprenderete lo scetticismo, forse dovuto anche un po' all'esperienza maturata negli anni... fatto sta che spargo la notizia in ambiente lavorativo ma le indisponibilità fioccano come neve alle Olimpiadi di Torino. Poco male, oramai sono abituato ad andarci da solo ai concerti e così faccio anche questa volta Per evitare inutili attese mi reco al Jammin Music Pub poco dopo le 23 quando presumibilmente avrà inizio lo spettacolo, e così è. Arrivo che lo show è appena iniziato: il locale - di nuova costruzione e su piano rialzato - ha in se qualcosa di losco, di grezzo e di vissuto. Sembra quasi uno scantinato dove i gruppetti possono andare a fare le prove, anche se in realtà si vede che il tutto non ha molta storia alle spalle. Innanzi al locale ci sono un po' di persone, una dozzina: capelli più o meno lunghi, giubbotti di pelle, anfibi. Mi sento a casa. Da fuori già si sente forte il richiamo del rock! Entro e mi ritrovo in ambiente stranamente nebbioso, fumoso - pur non essendoci nessuno che fuma - , in fondo al locale, su una pedana di pochi centimetri è disposta la band: ma sono i Marilyn Mason veri o i loro cloni?? 5 ragazzi con perfetti costumi di scena che hanno imparato bene la lezione dell'horror-show, tutti coi volti pitturati di bianco, labbra rosse di un rossetto che sbava e sovente cola giù giù fino sul collo, rosso intenso come il sangue che sgorgava dalla bocca del conte Ugolino. Occhi cerchiati di nero e pose credibili. La band fa da cornice ad un grandissimo cantante, non tanto per le prestazioni canore quanto per la presenza scenica. E' lui che detta il tempo, il ritmo dell'esibizione, scandendo con rapido cambio del costume di scena l'eternarsi dei brani. Ora un cappello da cow boy, poi un cappello da funerale, fino a giungere alle gonne nel tentativo di rendere ancor più equivoca la sua figura. Alcune geniali trovate me lo rendono subito simpatico; ad esempio, mancando l'occhio di bue - che sarebbe il faro a luce bianca a fascio concentrato - il nostro l'ha sostituito con una lampadina da carrozziere, di quelle che per metà hanno il riflettore e nell'altra metà la protezione in rete. All'esigenze questo faro veniva messo sotto il mento di questo o quel membro della band creando un pittoresco effetto zombie dall'oltretomba. Brani suonati con grande determinazione, batteria possente e chitarra presente il tutto magistralmente governato dal front man. 1 ora e mezza di puro godimento, a parte il volume assordante. Pubblico caldo, con accenni di pogata... e c'era pure qualche simpatica signorina tra i presenti! Birra di marca (Budweiser) a prezzi di mercato, commesse gentili e rapide, gestore contento dello spettacolo più che degli incassi. Insomma una bella serata e sabato sera si replica con una cover band dei Nirvana. Tutto perfetto o quasi, forse l'unico elemento "estraneo" ero io, ma questa è un'altra storia.
Per chi volesse:
www.posthumanband.com
www.jamminmusicpub.com
Saluti, Ciube.
p.s. non poteva mancare la chicca: a fine spettacolo il cantante s'è voltato spalle al pubblico alzanosi la gonna per esibire la bianche chiappe incastonate in un perizoma tipo fetish. Due belle auto-sculacciate ed il grido Kiss my ass!! questo è Rock signori!
p.p.s. stamane sono andato a vedermi il sito dei Post Human... forse non sono i "pischelli" di qualche sobborgo qui della zona come mi ero immaginato....
2004-05-04
Come sono aduso fare, anche questa volta riferirò (brevemente) del concerto al quale ho assistito ieri sera: John Zorn and Electric Masada.
Inizio dalla constatazione finale: il jazz è una musica difficile.
La formazione presentatasi sul palco era sicuramente di primissimo livello: John Zorn, alt saxophone; Marc Ribot, guitar; Jamie Saft, keyboards; Trevor Dunn, bass; Ikue Mori, drum-machine; Cyro Baptista, percussion; Joey Baron, drums; Kenny Wollesen, drums. Come location è stata scelto il CANKARJEV DOM; è un auditorium teatrale da ~1300 posti (tutti occupati) dalla buona acustica. Ed ora la parte più difficile: il giudizio. Non me la sento di sperticarmi in lodi come più di qualche volta mi è successo. Lo spettacolo musicale (non so se poterlo definire concerto, io per concerto intendo un evento associato alla musica....) al quale ho assistito ieri è più simile ad un'opera d'arte, un quadro musicale creato sul momento dal pittore Zorn usando come colori i suoi musicisti. Zorn - presentatosi sul palco con gli stessi pantaloni mimetici e la stessa T-shirt gialla indossati a Feletto nel '94 - ha ricoperto la funzione di musicista (sax), direttore d'orchestra e compositore. E' pacifico che poco o nulla di ciò che è stato suonato fosse rigidamente prefissato; molto è nato lì sul momento, plasmato dall'estro del maestro e dai suoi discepoli elettrici. A parte Ribot, tutti gli altri avevano gli occhi fissi sul maestro a ricevere le sue direttive rigorosamente impartite con gesti (anche piuttosto espliciti). Che dire, i primi brani (??!) sono stati di grandissimo impatto sonoro, emotivamente coinvolgenti per qualcuno, dissonanti e "strani" per chi - come me - ha schemi mentali, musicalmente parlando, molto legati al rock. Mano a mano, come succede quando si entra in una stanza buia provenendo dalla luce, i sensi si sono abituati, adattati e sintonizzati sulla frequenza della Masada. Le incursioni sonore sono sboccare in ritmiche più consuete ed a tratti pacate. Il feeling si è fatto più stretto ed il tutto più godibile. Le "svirgolate" di sax, simili a pennellate su una tela già finita, rifinivano il mix ricco di suoni inconsueti che i 7 riuscivano a produrre. Magia, estro e fantasia, forse non musica, forse si; di sicuro arte. Ammetto che forse io per certe cose non sono ancora completamente pronto. Ho bisogno dei miei tempi, come al solito. Questo è quanto.
Saluti, Ciube.
P.S. non posso non menzionare il pubblico, caloroso all'inverosimile, partecipe oltre ogni aspettativa e preparato. Per dirla tutta devo anche riferire dell'energumeno seduto alla mia sinistra: la dimostrazione vivente che l'uomo di Neanderthal non si è estinto ma è confluito nel Sapiens. In lui la parte dell'antico avo era sicuramente predominante e riprova di ciò è anche la sua dieta. Olfattivamente ho potuto constatare che essa è costituita principalmente da sasaka e salse varie a base di aglio.
2004-05-07
Non un concerto ma una gangbang, ecco, questo è il resoconto di ieri sera.
In 4 sono riusciti - scusate il giro di parole - ad inculare noi 1000 ignari spettatori. Siamo stati violentati fisicamente senza possibilità di fuga. L'ONU avrebbe dovuto intervenire, ed invece nulla. Hanno lasciato fare, ci siamo lasciati fare.
-----------------------------------
Perdonate lo sfogo ma era cosa dovuta mettere in chiaro le premesse. Ed ora diciamo dell'evento sonoro (anche in questo caso non mi sento di definirlo concerto): parrà strano ma l'impronta di fondo non è dissimile da quando detto per la Electric Masada di Zorn ascoltata solo alcuni giorni fa. La location ora ottima, ovvero un vecchio capannone industriale dismesso alla periferia di Lubiana. Le credenziali della formazione (a tutti gli effetti un super-gruppo) altrettanto valide: Mike Patton (ex Faith No More - voce ed elettronica), Buzz Osburne (Melvins - chitarra), Dave Lombardo (Slayer - batteria) e Trevor Dunn ( Mr Bungle - basso). La musica: ... francamente ASSENTE!!! Una messe di suoni convulsi e sincopati inframmezzati da urla lancinanti e sfuriate di batteria non credo rientrino nella categoria Musica. 2 righe e vi ho già detto tutto. Superfluo citare le acrobazie vocali di Patton o le impressionanti rullate di Lombardo; che fossero bravissimi lo si sapeva. Il 'concerto' (??) di ieri mi induce però a delle riflessioni: perché personaggi del calibro di quelli coinvolti nel progetto Fantomas stanno facendo ciò? Dopotutto ognuno nel suo aveva raggiunto i vertici qualitativi e di credibilità. Ed allora cosa fare dopo 15-20 anni di carriera? Ripetere all'infinito il proprio passato (Pink Floyd) rischiando di diventare ridicoli o rifare sempre le stesse cose senza aggiungere nulla (Matallica)? Se lo sono sicuramente chiesto anche Patton e soci. Cosa fare? come farlo? Come superare gli attuali schemi del rock e della musica in generale? Non è assolutamente una cosa facile; siamo di fronte ad una possibile rivoluzione, musicalmente parlando, pari a quella copernicana. I Fantomas si sono mossi in una ben precisa direzione, accomunando le esigenze dei diversi musicisti di andare oltre. Nessuno può mettere in dubbio che alcuni dischi dei Melvins - non quelli usciti per la Atlantic, gli altri (Anfetamine Records??) - fossero "difficili" e già palesassero questa ricerca di scomporre il suono nelle sue fondamentali per ricrearlo nuovo e dilatato. Non diciamo poi di Patton che di questa ricerca ne ha fatto il suo credo di vita. Ecco, questo malessere di fondo, questa incapacità di avere un'idea sul dove si sta andando ha portato i Fantomas a "mettere sul piatto" tutto quanto avessero da offrire, tentando di far combaciare i pezzi di un puzzle del quale non si conosce l'immagine da ricreare; e questi pezzi non sempre combaciano, anzi, ieri sera sovente sono stati forzati gli incastri. Bisogna però dar loro atto che una cosa sono magistralmente riusciti: hanno trasmesso completamente il loro disagio a noi. Come giudicare una suono di sirena centrato sul kiloHerz suonato a buoni 140dB e protratto per 4-5 minuti? Che dire della strumentazione non-convenzionale usata da Patton? Cosa pensare quando il batterista degli Slayer (!!) si mette le cuffie antirumore? Ho temuto VERAMENTE che stessero per far esplodere una bomba a mano sul palco...... non scherzo! La situazione musicale è sicuramente statica - non mi riferisco alle canzonette pop, chiaro - e chi nel progresso musicale crede e spera sta tentando di dar vita a qualcosa di nuovo. Alcuni illustri musicisti hanno ricercato la fusione col passato o con le tradizioni locali (leggi musica etnica). Qualcuno - come i Fantomas - ha voluto dare un taglio netto con tutto quanto esiste già, fare tabula rasa* . Atto coraggioso e sicuramente lodevole. Siamo però ancora in una fase sperimentale, sia chiaro.
Vostro "inviato dal futuro", Ciube.
* ricordiamo a questo riguardo quanto fatto dagli Einsturzende Neubauten già più di 20 anni orsono.
2003-11-15
Cosa vi siete persi ragazzi..... UNO DEI CONCERTI PIU' BELLI HAI QUALI HO ASSISTITO (e non sono pochi). I DEATH ANGEL al centro sociale Gala Hala di Ljubljana/Slovenija. Ambientazione: ex industria pesante (a pochi passi dalla stazione centrale) in parte ristrutturata e dedicata alle attività ricreativo-culturali (ostello, ludoteca, internet point) ed in parte lasciata all'estro decorativo dei giovani alternativi sloveni. Zone di assoluto degrado sociale, testimoni dell'architettura industriale socialista post bellica (la 2a mondiale), sono state impreziosite dall'estro artistico di chiunque passasse di li - in piena libertà - con colori, sculture, manufatti vari o anche semplici demolizioni parziali di edifici preesistenti. In fondo ad una piazzetta interna, circondato da automobili a portellone aperto e stereo al massimo c'è una piccola insegna luminosa: "Gala Hala". 4 gradini per scendere, una porta da saloon fatiscente e poi l'inferno! Spazio relativamente piccolo (200 persone al massimo) ma carico di vita e di rock. Si percepisce l'odore del sudore che si è asciugato sulle pareti. Biglietto alla cassa di soli 15 euro per un festival musicale.... niente biglietti cartacei, solo un braccialetto ed uno sguardo d'intesa con il cassiere, quasi a compiacersi vicendevolmente d'essere li. Nessun controllo, niente vigilanza, niente Policija, solo giovani vestiti con colori cupi e dai capelli lunghissimi: tutti. A parte 2 completamente rasati tutti gli altri avevano capelli ben oltre la mezza schiena. Gran parte li teneva sciolti ma più di qualcuno li portava a groppi, alla jamaicana. Palco montato in un angolo e farcito di elettroniche e strumentazione fino al soffitto, amplificazione principale Cervin Vega! adatta ad un palazzetto.... Insomma, si parte alle 20 circa con NEGLIGENCE (SLO), MNEMIC(DK), MYSTIC PROPHECY(D/SWE), DARKANE(SWE), DISBELIEF(D). Ognuno fa una 1/2 oretta o poco più, suonano tutti bene e si sente divinamente, tenuto conto del posto. Beh, i generi proposti sono prog/power metal, thrash metal, death/thrash metal, extreme death metal e fusion future metal, semprechè le etichette vogliano dire qualcosa. Grande partecipazione di pubblico con scuotimenti di capo continui a formare nelle prime file un unicum di chiome fluttuanti all'unisono come le spighe di grano sferzate dal vento settembrino. A fine esibizione i vari musicisti si uniscono al pubblico senza darsi troppe arie. Sul palco intanto si fa il cambio di strumentazione, rapido, assolutamente parziale, ed in sound-chek segue in diretta. Pochi aggiustamenti fatti da chi sa fare e via un'altra band a suonare! Ed arrivano le 23:30. Mi guardo con Gambaro e mi chiedo come faranno i Death Angel a fare di più; normalmente tra i gruppi spalla e gli head-liner c'è un abisso, sia qualitativi che quantitativi. Ma qui tutti hanno fatto il loro molto bene ed è difficile immaginarsi di meglio. Il genere nella serata è già stato indagato nelle sue diramazioni,...... rimaniamo perplessi. Sul palco salgono 3 gregari (roadie) e si danno un sacco da fare; tutto viene risistemato con una precisione quasi maniacale, precisione in ogni azione a dispetto delle 200/250 persone presenti. L'atmosfera intanto ve la lascio immaginare, sono già 4 ore che si suona. L'aria è un po' pesante e si sentono fortissimi "aromi orientali". Più di qualcuno sta con l'accendino in mano.... 23:50 parte un brano tipo da colonna sonora, un intro crescente valorizzato da una forte luce blu che investe il palco. 1,2,3 minuti d'attesa e poi ecco! I DEAT ANGEL sul palco! 5 americani di San Francisco di origine filippino/jap che fanno l'inimmaginabile. Inutili parole, inutili le descrizioni. Si parte con due brani di "The Ultra Violence" primo album del gruppo e pietra miliare del rock. Niente pause, niente fronzoli, solo musica di una potenza e di una compattezza granitica. Due chitarre, basso, batteria e voce. IL DEVASTO SONORO. Dire della bravura tecnica è superfluo, quello che c'era è la voglia di suonare, il feeling col pubblico, in piacere di essere li dinuovo insieme a suonare in un buco di culo di posto un una nazione non più grande di una capocchia di spillo sul mappamondo. Hanno trascinato la folla in meandri della violenza sonora che non v'immaginate. Bello , bello e ancora bello! Non sono preda di facili entusiasmi, ma posso con assoluta certezza dire che è uno degli spettacoli musicali (concerti) più belli ai quali ho assistito. "We are Death Angel. We play metal for a beautiful fucking people like you!!!" così ci ha detto Mark Osegueda. E l' 1:30 arriva senza un attimo di pausa, poi il doveroso bis: un lento, quasi a voler salutare con grazia e gentilezza un pubblico tanto caloroso ed ossequioso. Chi non c'era se ne pentirà per tutta la vita, anzi no, non essendoci stato non sa che si è perso. A chi c'era il triste considerare che difficilmente vedrà di meglio. .... mi fischiano ancora le orecchie....
Hey ho!
Ciube.
P.S. x Elisa: si hanno tutti + di 30 anni, ed allora?
P.S.2 per chi volesse: http://www.deathangel.com/
Se hai partecipato ad uno dei concerti da me recensiti e vuoi darmi il tuo parere o semplicemente ti va di scambiare opinioni e pensieri sulla musica, puoi metterti in contatto con me attraverso il mio website link..
Questa è la lista dei concerti di cui troverete il reportage in questa pagina.
links:
Elenco, non esaustivo, dei concerti a cui ho assistito negli ultimi anni e di cui non ho scritto. L'ordine della lista è casuale.